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Cristo Redentore

Nella feconda produzione di busti del Redentore in terracotta o stucco dipinto che tra lo scorcio del Quattrocento e i primi decenni del Cinquecento vide impegnati i principali scultori fiorentini, l’opera in esame, foggiata per modellazione diretta e priva di ulteriori repliche, si distingue per alcune peculiarità tipologiche e formali che ci consentono di ricondurne la paternità a un’interessante maestro ancora in via di definizione. Infatti, i tratti affilati del volto, la frizzante barbetta minutamente steccata, le sottili ciocche serpeggianti e soprattutto la singolare bordura della tunica in forma di croce con terminazioni a gocce (qui impreziosita dall’originaria doratura ricamata a punzone) portano a respingerne il tradizionale riferimento ad Agnolo di Polo, mentre lo imparentano saldamente a due altre effigi in terracotta del Salvatore, simili anche nelle dimensioni più contenute del consueto (Reggio Emilia, Musei Civici; già Firenze, mercato antiquario). Proprio tali pungenti caratteri fisionomici, come l’inarcarsi a rondine delle sopracciglia, le palpebre allungate a fuso con l’angolo lacrimale assai accentuato, il profilo appuntito del naso e del labbro superiore, o il vitalismo serpentino delle ciocche, ancor più animato e ribelle nel busto di Reggio Emilia, trovano puntuale riscontro in una statuetta in terracotta di San Sebastiano venerata nella basilica romana di Santa Maria in Aracoeli, oggetto di un contributo di Francesco Negri Arnoldi dal titolo “l’enigma di un capolavoro” (2011), che ne evidenziava le tangenze con i maggiori maestri fiorentini del Rinascimento (Verrocchio, Leonardo, Pollaiolo, Rustici, Jacopo Sansovino) senza tuttavia formulare un’attribuzione conclusiva.

Seguace del Verrocchio (Maestro del San Sebastiano dell’Aracoeli) – 1500 ca.
Terracotta dipinta e dorata (40,5 x 40)
Scheda critica Giancarlo Gentilini e David Lucidi
Pubbl. Raritas 24 ottobre-14 novembre 2020, pp. 32 – 35